Migranti una risorsa per l’Italia: positivo il saldo (+6,5 miliardi) fra le spese per l’accoglienza e gli introiti per il loro lavoro

Il rapporto Idos: cinque milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese, rimpatriati solo l’11,7% degli espulsi. E i flussi previsti dal governo non coprono le carenze di manodopera

Nel 2022, su oltre 500mila stranieri in condizione di soggiorno irregolare in Italia – un decimo rispetto ai poco più di 5 milioni regolarmente residenti – soltanto a 36.770 è stata intimata l’espulsione, circa uno ogni 14 (inclusi 2.804 afgani e 2.221 siriani, che pure fuggono da Paesi in guerra e da gravi pericoli per la propria persona). Di questi, solo 4.304 (11,7%) sono stati effettivamente rimpatriati: una quota inferiore a quelle registrate perfino negli anni dell’emergenza sanitaria (15,1% nel 2021 e 13,7% nel 2020), caratterizzati da forti restrizioni nella mobilità internazionale. Sono alcuni dei dati contenuti nella 33esima edizione del Dossier Statistico Immigrazione 2023 curato da Idos, in collaborazione con Centro Studi Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.

Le mansioni dei lavoratori stranieri

Tre lavoratori stranieri ogni 4 in Italia sono impiegati in aziende medio-piccole, per lo più a conduzione familiare, o presso le famiglie, come collaboratori domestici e badanti. Complessivamente gli stranieri incidono per il 10,3% sul totale degli occupati e per il 16% sui disoccupati. Il loro tasso di occupazione, dopo due anni in cui era risultato più basso, torna a superare lievemente quello degli italiani (60,6% a fronte del 60,1%) ma non cambia la rigida divisione del lavoro per cittadinanza e genere, con più di un terzo delle lavoratrici straniere (34,0%) impiegate nei servizi domestici o di cura alle famiglie (2,4% le italiane) e il 42,2% degli uomini occupato nell’industria e nelle costruzioni (35,6% gli italiani). L’Italia continua a occupare massivamente gli stranieri in attività manuali e a bassa qualifica, da cui derivano retribuzioni inferiori (di ben un quarto rispetto alla media) e questa compressione dei salari ha ridotto, tra l’altro, anche la loro capacità di risparmio, scesa dal 38% del reddito nel 2017 al 27% nel 2022. Questo rigido modello di “segregazione occupazionale” influisce – secondo Idos – sulle condizioni di vita e di inserimento degli immigrati. Nonostante la quota di residenti stranieri in situazione di povertà e di esclusione sociale sia del 40% (quasi doppia rispetto agli italiani), pari a due milioni di persone, a giugno del 2023 solo un decimo (10,7%), cioè meno di 215mila, fruiva del Reddito di cittadinanza. E dal 2024 il nuovo Assegno di inclusione, contemplando nuovi e più stringenti requisiti, di fatto ridurrà l’attuale platea di beneficiari stranieri del Reddito di cittadinanza a un terzo, ovvero ad appena 73 mila individui, il 3,6% di tutti quelli in condizioni di indigenza e marginalizzazione.

Più di uno studente su 10 è straniero

Ad oggi gli alunni stranieri sono circa 872.360, oltre un decimo (10,6%) di tutti gli scolari in Italia, e per più dei due terzi (67,5%, pari a 588.986) sono nati in Italia. Nonostante la componente straniera, e in particolare quella delle seconde generazioni, sia l’unica ad aumentare, anche per via della bassa natalità degli italiani (negli ultimi 10 anni, mentre il numero totale di scolari è diminuito del 7,8%, quello degli stranieri è cresciuto del 15,4%), l’incidenza degli scolari di origine immigrata diminuisce man mano che sale il grado di scuola (dal 12,4% nelle primarie all’11,2% nelle secondarie di primo grado, fino all’8,0% nelle secondarie di secondo grado), a conferma delle maggiori difficoltà di completare il percorso di formazione. Differenze notevoli, tra italiani e stranieri, restano anche nella scelta degli indirizzi superiori, con i primi che si orientano verso i licei in più della metà dei casi (54,0%) e i secondi per meno di un terzo (30,2%) o al massimo in due casi su 5 (42,2%) se nati in Italia, preferendo nettamente istituti tecnici o professionali. Terminate le superiori, poi, è significativo che solo poco più di un terzo degli alunni stranieri si iscriva all’università (36,6%, quota che però sale al 47,8% tra i soli nati in Italia), a fronte di oltre la metà degli italiani (55,8%), al punto che tra gli immatricolati l’incidenza di quelli stranieri è di appena il 6,4%: si tratta in tutto di 21.260 nuovi iscritti stranieri, di cui la metà è costituita da studenti internazionali, ovvero da giovani che non provengono da percorsi scolastici in Italia ma arrivano appositamente dall’estero per condurre gli studi accademici nel Paese. “Circostanza, questa – segnala il report – che restringe le possibilità di competere per posti di lavoro ad alta qualifica anche da parte delle nuove generazioni cresciute in Italia, compromettendone la mobilità sociale”.

I flussi previsti non coprono carenza manodopera

Secondo la programmazione dei flussi decisa dal governo in settembre, in tre anni saranno ammessi in Italia complessivamente 452mila lavoratori stranieri: 136mila nel 2023, 151mila nel 2024 e 165mila nel 2025. Ma il provvedimento, varato su forte pressione dei datori di lavoro (in grave carenza di manodopera sin dalla crisi pandemica), “è ancora molto lontano dal coprire l’effettivo fabbisogno (stimato dal governo in 833mila lavoratori nello stesso arco di tempo) e – in mancanza di una riforma del meccanismo a cui soggiacciono, da oltre 20 anni, gli ingressi e le permanenze per lavoro dall’estero – è soggetto alle stesse gravi distorsioni osservate lungo questo intero periodo”. In effetti, anche quando è regolarmente impiegata, la manodopera straniera in Italia è spesso relegata a lavori precari, faticosi, sottopagati e rischiosi per la salute. Quasi due occupati stranieri su tre svolgono mansioni operaie o di bassa qualifica, una quota doppia rispetto agli italiani.

Con i nuovi Cpr politica reclusione generalizzata

Nuovi Cpr, tempi di trattenimento più lunghi e, soprattutto, un allargamento delle casistiche e dei luoghi in cui mettere in atto la detenzione amministrativa, estesa su vasta scala perfino ai richiedenti asilo: l’ultima, attuale modifica – la quindicesima in 25 anni – si prospetta come “una politica di reclusione generalizzata”, secon Idos. Per l’identificazione e il rimpatrio dei migranti irregolari l’Italia, ormai dal 1998, ha istituito la detenzione amministrativa in appositi centri, oggi denominati Cpr. “Luoghi di diritti negati – si legge nel report – come da anni illustrano i rapporti del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ma anche poco utili allo scopo che si prefiggono”. L’anno scorso vi sono transitati 6.383 migranti, il 68,7% in più rispetto al 2021 (4.387), ma solo la metà dei trattenuti (49,4%) ne è uscita per rientrare nel Paese d’origine (3.154), un’incidenza in linea con quella degli anni precedenti (50,9% nel 2022 e 49,0% nel 2021), ad evidenziare che “la scarsa efficacia non è contingente ma intrinseca al sistema”. E’ anche dimostrato che “il tasso di efficacia non migliora prolungando i tempi del trattenimento, periodicamente oscillati, dal ’98 ad oggi, tra i 30 giorni e i 18 mesi. Tra il 2019 (48,5%) e il 2020 (50,8%), per esempio, quando il tetto era di 6 mesi (a fronte degli attuali 3, che il governo ha prolungato a 18), i livelli restano analoghi. Lo stesso vale per la moltiplicazione delle strutture: nel 2016-2017 si era arrivati ad averne 14 (1.400 posti), senza per questo ridurre le sacche di irregolarità”. Il prolungamento del trattenimento e l’aumento dei Cpr secondo gli autori del Dossier comportano, invece, “maggiori costi economici, oltreché umani”. La finanziaria di fine 2022 ha previsto una spesa, per il triennio 2023-2025, di 42,5 milioni di euro per rafforzare il sistema dei Cpr con 206 nuovi posti. E ulteriori risorse dovranno essere stanziate per averne uno per regione. Tra il 2021 e il 2023 sono stati spesi 56 milioni di euro per affidare a soggetti privati la gestione dei Cpr, cifra che non include i costi del personale di polizia e di manutenzione delle strutture. (

28mila morti e dispersi nel Mediterraneo dal 2014

Lungo le rotte migratorie del Mediterraneo scompaiono migliaia di migranti diretti in Europa: dal 2014 ad agosto 2023 i morti e dispersi accertati sono stati circa 28mila (ma probabilmente altrettante sono state le vittime di naufragi non intercettati), di cui 2.411 solo nel 2022 (in tre casi su 5 lungo la rotta centrale) e già altri 2.324 nei primi 8 mesi del 2023″. In particolare, lungo la rotta centrale (ancora la più letale al mondo) tra gennaio e agosto 2023 il numero delle persone arrivate – quasi tutte, in ogni caso, sbarcate in Italia – è stato di circa 115mila, a fronte delle 105.561 nel corso del 2022 e delle 67.724 del 2021, con un aumento del numero di morti o dispersi in mare nei primi sette mesi dell’anno (903, per una media di 4,3 al giorno, secondo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali) e con i migranti giunti dalla Tunisia che per la prima volta hanno superato quelli arrivati dalla Libia”.

“Questi ultimi sono diminuiti – accusa il dossier – anche perché la “guardia costiera” del Paese nordafricano ne ha nel frattempo intercettati a migliaia in mare e ricondotti nei propri centri di detenzione, dove, secondo l’Ohchr, “ci sono ragionevoli motivi per ritenere che le persone migranti siano vittime di crimini contro l’umanità e che atti di omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenze sessuali, stupri e altri atti disumani sono stati commessi in relazione alla loro detenzione arbitraria”.

Gli introiti dello Stato: +6,5 miliardi rispetto alle spese

Il contributo degli immigrati all’economia italiana e al suo sistema di protezione sociale, a dispetto di evidenti criticità, continua a essere positivo: nel 2021 il saldo tra spese (28,2 miliardi di euro) e introiti (34,7 miliardi di euro) dello Stato imputabili all’immigrazione ha segnato un guadagno per l’erario pubblico di 6,5 miliardi di euro, fortemente cresciuto rispetto al 2020 (circa un miliardo di euro in più) grazie alla ripresa post-pandemica dei settori in cui gli stranieri sono più impiegati. Analogamente, dal 2011 al 2021, se le imprese in capo a italiani sono diminuite del 4,1%, quelle gestite da immigrati sono cresciute del 41,5%. Nel 2022, con ulteriori 5 mila nuove attività aperte nell’anno (+0,8%), le imprese immigrate operanti in Italia si avvicinano a quota 650mila (il 10,8% del totale). A crescere sono soprattutto l’imprenditorialità femminile (pari al 24,6% delle attività a conduzione immigrata) e le società di capitali, più che raddoppiate dal 2011 al 2021 (+149,9% e +65mila).

Fonte: https://www.repubblica.it/cronaca/2023/10/26/news/migranti_una_risorsa_per_litalia_positivo_il_saldo_65_miliardi_fra_le_spese_per_laccoglienza_e_gli_introiti_per_il_lo-418802670/