Il Presidente nazionale dell’ALS, Dott. Paolo Ragusa, ha inviato una lettera al Questore di Palermo esprimendo preoccupazioni riguardo alla prassi seguita da alcune questure in merito alla valutazione dei requisiti reddituali per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Il.mo Questore,
scrivo in qualità di presidente nazionale dell’ALS – Associazione Lavoratori Stranieri – MCL.
La presente su sollecitazione di operatori di patronato e lavoratori stranieri associati, relativamente a questioni da Voi sollevate in ordine al rilascio di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Ebbene ci viene segnalato che il requisito reddituale da Voi richiesto è da intendersi come da dimostrare per i 5 anni precedenti alla richiesta.
Sono a ricordare che per provare il requisito reddituale formalmente è richiesta la produzione dell’ultima dichiarazione dei redditi o del modello CU (art. 16, c. 3, lett. b) Reg. att. T.U.I. emanato con D.P.R. n. 394/1999) del richiedente (ed eventualmente dei familiari dello stesso).
Sul punto, preme osservare che la giurisprudenza UE ha già avuto modo di giudicare che “dall’esame del tenore letterale, dell’obiettivo e del contesto dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/109, alla luce segnatamente delle disposizioni analoghe delle direttive 2004/38 e 2003/86, risulta che la provenienza delle risorse contemplate da tale disposizione non è un criterio determinante per lo Stato membro interessato al fine di verificare se queste ultime siano stabili, regolari e sufficienti. Di conseguenza, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 77 delle sue conclusioni, spetta alle autorità competenti degli Stati membri analizzare in pratica la situazione individuale del richiedente lo status di soggiornante di lungo periodo nel suo insieme e indicare i motivi per cui le sue risorse sono sufficienti e se presentano o no una certa permanenza e continuità, in modo che il richiedente non diventi un onere per lo Stato membro ospitante” (CGUE, sentenza del 3 ottobre 2019, nella causa C‑302/18, par. 41 e 42).
Risulta illegittima la prassi di alcune questure di richiedere la prova del possesso del requisito reddituale in relazione al triennio o quinquennio precedente la richiesta (sul punto ex multis Tar Piemonte Ord. n. 169 dell’8 marzo 2012, Tar Piemonte Ord. n. 1180 del 9 novembre 2011). La normativa infatti richiede solo la prova di un sufficiente reddito proveniente da fonti lecite.
L’accertamento richiesto dal legislatore italiano e comunitario impone all’amministrazione di valutare le soglie reddituali “come espressive di un “criterio di massima” da utilizzare ai fini di un giudizio più ampio, volto a stabilire se l’interessato abbia o meno evidenziato una significativa tendenza a porsi come soggetto produttivo di reddito” (TAR Sardegna, sentenza n. 237/2019; nello stesso senso ex plurimis TAR Sicilia, Palermo, sentenza n. 2882/2020).
Ci segnalano, a tale proposito, che taluna domanda è stata da Voi respinta poiché non reperibile la dichiarazione dei redditi, nonostante la produzione di unilav, buste paga e contratti. Valutazione ben lontana da quel “giudizio più ampio” e flessibile volto a stabilire se l’interessato abbia la tendenza a porsi come soggetto produttivo di reddito.
Conseguentemente al fine di valutare la “stabilità e regolarità” delle risorse economiche, occorre che l’autorità competente tenga comunque conto della realtà economica e sociale, dunque della precarizzazione dei rapporti e dei contratti di lavoro, oltre che della eventuale stagionalità degli stessi. Tale autorità, dunque, deve effettuare anche un esame in prospettiva delle stesse. Come affermato in giurisprudenza “tuttavia occorre richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia che, con sentenza 21 aprile 2016, nella causa C-558/14 ha esemplificato le modalità di siffatta valutazione prospettiva” valutando, ad esempio, se il richiedente sia mai stato a carico dell’assistenza sociale nazionale o se abbia sofferto di interruzioni lavorative anomale, ingiustificate e comunque sintomatiche di una difficoltà oggettiva a reperire un impiego e non di una plausibile scelta di vita compatibile con le risorse a disposizione.
Differentemente la valutazione amministrativa potrebbe rappresentare “invero un’ingerenza nell’esercizio del diritto fondamentale garantito dall’art. 21 TFUE, in quanto non necessaria rispetto al raggiungimento dello scopo perseguito, ossia la protezione delle finanze pubbliche degli Stati membri” (Tar Torino, sentenza n. 214 del 9.3.2023).
Per le su esposte ragioni, e in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, sono a chiedere Vostra collaborazione per una valutazione meno rigida e più “umana” delle pratiche relative ai permessi per lungo soggiornanti.